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Davide contro Golia e lo spettro del conflitto nucleare.

Articolo originale di Giorgio Da Gai
Il conflitto russo – ucraino è la prima guerra europea dopo la Seconda Guerra Mondiale. Europea perché diversamente dell’ex Jugoslavia (1991 – 2001) il conflitto potrebbe estendersi all’intero continente. Qui sono scoppiate le guerre mondiali le più sanguinose e devastanti di tutta la storia umana. Ci siamo illusi che il periodo di pace e di benessere in cui viviamo dal dopoguerra potesse durare in eterno, non è così: prima gli attacchi terroristici, poi la pandemia e infine la guerra; sullo sfondo lo spettro di una crisi economica che potrebbe trasformarsi in carestia. Tragici eventi che credevamo appartenessero ad altre latitudini o al nostro passato. Nel “Paese dei Balocchi” la festa è finita e l’Europa non sarà più quella di prima. Una nuova Guerra fredda è iniziata e sull’Europa incombe l’incubo di un conflitto nucleare.
Il conflitto russo – ucraino avrà pesanti conseguenze sulla situazione economica e politica del nostro continente, che faticosamente cerca di superare la crisi provocata dalla pandemia. I Paesi più colpiti dalle conseguenze economiche di questa guerra sono quelli legati alle esportazioni russo – ucraine di: cereali, olio di semi, fertilizzanti, petrolio, gas e legname. Mi riferisco alle imprese tedesche e italiane per gli effetti negativi sulla produzione e sull’occupazione; ai Paesi dell’Africa e del Medio Oriente per il fabbisogno alimentare.
Russia e Bielorussia rappresentano il 20% delle esportazioni mondiali di fertilizzanti e insieme al gas e al petrolio forniscono cibo ed energia alle nostre imprese e famiglie. Non è solo una questione economica ma di sopravvivenza e di pace sociale. Siamo disposti a rinunciare a tutto questo? I Paesi dell’Africa settentrionale, come l’Egitto o la Tunisia, o del Medio Oriente, come la Siria e il Libano, oltre che l’Iran e il Bangladesh importano il 60% del loro grano dalla Russia e dall’Ucraina. Dipendono dal grano russo ucraino anche il Pakistan, la Libia e lo Yemen. Secondo l’Unctad, l’organismo delle Nazioni Unite sul Commercio e lo Sviluppo, sono 25 i Paesi africani che dipendono dal grano russo e ucraino. Un quarto della produzione mondiale di cereali è prodotto in Ucraina e Russia. A rischio è la metà del grano che il programma alimentare dell’Organizzazione delle Nazioni Unite acquista per sfamare oltre 125 milioni di persone. Gli effetti delle sanzioni imposte alla Russia e il conflitto ucraino potrebbe minare la stabilità politica e sociale di dette nazioni. A fare da detonatore alle Primavere Arabe furono l’aumento delle bollette e dei generi alimentari. Ci aspetta un autunno-inverno rovente con il Medio Oriente e l’Africa in fiamme? L’Italia per posizione geografica sarebbe la nazione europea più esposta alle conseguenze di questa crisi: migranti, terrorismo, ecc.
Per contenere gli effetti della crisi russo ucraina, il premier Draghi ci invita a diminuire il riscaldamento in inverno e di contenere l’uso dei climatizzatori in estate. Gli idioti confidano in queste demagogiche soluzioni, degne di un governo di dilettanti. Un governo presieduto da un banchiere espressione dell’alta finanza e succube degli interessi americani; un governo che per ministro degli esteri ha un bel ragazzo meridionale, più adatto al ruolo il P.R. in discoteca che di ministro. La politica estera del governo Draghi ci fa rimpiangere la posizione di Bettino Craxi nella crisi di Sigonella (1985) la politica mediterranea di Enrico Mattei e le ottime relazioni che i governi della Prima Repubblica avevamo con l’Unione Sovietica. A loro confronto il “sovranismo” di Matteo Salvini e di Giorgia Meloni è una barzelletta. Sulla sinistra “pidiota” e sulla destra atlantista è meglio stendere un velo pietoso, la loro assertività verso Washington è grottesca. Da Silvio Berlusconi a Enrico Letta, i partiti seguono con fedeltà canina il bellicismo di Washington.

[N.d.R.   prima di proseguire invitiamo i lettori a visionare questo video: la fanteria russa ha sfondato una prima linea e “ripulisce” a colpi di bombe a mano le trincee dagli ucraini… se non fosse per il drone potremmo pensare di essere in una trincea della prima guerra mondiale! ]

 

Incombe sull’Europa lo spettro di un improbabile ma possibile conflitto nucleare. Mosca ha circa 1000 – 2000 testate nucleari tattiche armi meno potenti e inquinanti di quelle strategiche, ma comunque devastanti negli effetti. Si tratta di testate dotate di una forza esplosiva pari a un kiloton (1000 tonnellate di tritolo) le bombe sganciate sul Giappone durante la Seconda guerra mondiale avevano una forza esplosiva di 15 – 21 kiloton.
Mosca non vuole usare le armi atomiche perché teme di innescare un’escalation nucleare. Il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov, in un’intervista con Christiane Amanpour per Cnn, è stato chiaro sull’uso delle armi nucleari << La Russia ha un concetto molto chiaro sull’uso dell’arma nucleare: solo in caso di minaccia all’esistenza stessa del Paese >>. Gli Stati Uniti ricorsero all’atomica per molto meno, vincere la tenace resistenza giapponese e limitare le perdite.
Vediamo quali sono i possibili scenari che potrebbero scatenare un conflitto nucleare. Escludendo un attacco diretto della Nato, come quello che portò alla fine della Serbia di Milosevic, dell’Iraq di Saddam o della Libia di Gheddafi; rimangono le ipotesi dell’escalation e della “minaccia esistenziale”. Primo, la conquista di Odessa da parte della Russia, questo porterebbe le truppe di Mosca ai confini della Nato, aumentando le possibilità d’incidenti; la Nato per evitare possibili scontri, ha respinto la richiesta di Kiev di imporre a Mosca la no fly zone sull’Ucraina. Secondo, l’entrata della Svezia e della Finlandia nella Nato, la perdita di neutralità di queste nazioni permetterebbe alla Nato di schierare i missili e le truppe sul confine russo con il rischio di incidenti. Terzo, missili russi che colpiscano il territorio della Polonia o di un altro Paese della Nato, per distruggere i depositi e i convogli di armi destinati all’Ucraina; la Nato potrebbe reagire attaccando la Russia in ottemperanza al principio di difesa collettiva (art 5 del Trattato Nord Atlantico). Infine, la Russia potrebbe usare le armi nucleari se le conseguenze del conflitto ucraino ne minassero l’esistenza, provocando una crisi politica ed economica paragonabile a quella che portò al crollo dell’Unione Sovietica. Mosca per evitare questa minaccia esistenziale potrebbe ricorrere alle armi nucleari. Ordigni tattici per colpire l’Ucraina e spaventare l’Occidente che la sostiene. Mosca prima di attaccare con tali armi potrebbero lanciare un avvertimento, colpendo per “errore” una centrale nucleare in Ucraina e provocando una nuova Cernobyl. Se tale “avvertimento” non avesse effetto e Mosca si trovasse con le spalle al muro, arriverebbe l’attacco nucleare. Più si prolunga il conflitto maggiore è la probabilità che questo accada. L’Europa è in prima linea e ne subirà le conseguenze.
Il conflitto ucraino è una guerra asimmetrica, dove la sproporzione delle forze pende a favore della Russia. Tale sproporzione non è data dalle forze terrestri impegnate sul campo di battaglia; ma dal controllo dello spazio aereo e dalla potenza di fuoco dell’artiglieria russa. Questo consente alle truppe di Mosca di colpire tutto il territorio ucraino infliggendo pesanti perdite alle truppe nemiche e danni alle infrastrutture militari (depositi di armi e di munizioni, caserme, centri di addestramento, ecc.) e civili (ponti, strade, linee e centrali elettriche). L’Ucraina, compensa la disparità di forze con il sostegno militare della Nato, senza di questo avrebbe già capitolato.
In una guerra asimmetrica la parte militarmente più “debole” impiega le tattiche del terrorismo (Isis) e della guerriglia (resistenza ucraina) per infliggere al nemico pesanti perdite con un uso limitato di risorse. Inoltre, la parte “debole” cerca di impedire a quella “forte” di far valere la propria superiorità militare impiegando i civili come “scudi umani” e come strumento di propaganda. I civili sono “scudi umani” per i combattenti ucraini asserragliati nei sotterranei dell’acciaieria Azovstal; “scudi umani” che impediscono alle truppe russe di annientare l’ultima sacca di resistenza rimasta a Mariupol. Kiev “esibisce” sui media le proprie vittime come macabra testimonianza della brutalità dell’invasore russo; meglio se tali morti sono conseguenza di reali o di presunte stragi. Kiev invoca armi e sanzioni per fermare il “genocidio” del popolo ucraino. In Ucraina non è in atto nessun “genocidio”, inteso come sterminio volontario di un popolo; le vittime civili ucraine sono la conseguenza inevitabile di ogni guerra; le stragi attribuite alle truppe russe (vedi Bucha) non sono state accertate da nessuna commissione indipendente, dobbiamo fidarci delle dichiarazioni di Kiev e della propaganda dei media occidentali e ucraini. Non sappiamo se le vittime sono state uccise deliberatamente dalle truppe russe: potrebbe trattarsi di combattenti caduti negli scontri e segnalati come “civili”, come nel caso della strage di Racak in Kosovo (15 gennaio 1999); oppure di vittime di bombardamenti e non di stragi.
Quando si accerta l’esistenza di una strage, è necessario capire: se si tratta di fatti isolati, imputabile a singoli criminali; oppure di crimini che fanno parte di una strategia di sterminio. Crimini isolati come le stragi compiute dai soldati americani a My Lai (Vietnam 1968) a Haditha (Iraq 2005) o a Ishaqui (Iraq 2006); oppure crimini che sono parte di una strategia di sterminio, come i massacri compiuti dalle truppe naziste in Unione Sovietica durante la Seconda guerra mondiale, o come la strage di Katyn (1940) avvenuta in Polonia per opera delle truppe sovietiche. Nel primo caso il presidente Putin non avrebbe nessuna responsabilità di questi crimini come non la ebbero i presidenti americani Lyndon Johnson per la strage di My Lai o il presidente George Bush junior per quelle di Haditha e di Ishaqui. Lo stesso discorso vale per i vertici militari se tali stragi non hanno ordinato o coperto.
La tempistica dello spiegamento delle truppe russe sul confine ucraino, fa supporre che Mosca non avesse intenzione di invadere l’Ucraina; altrimenti non avrebbe iniziato lo schieramento delle truppe un anno prima dell’invasione, con massicce manovre militari, dando tempo agli ucraini di organizzare la difesa. Forse Mosca con tali manovre sperava di intimorire Kiev e la Nato ottenendo senza sforzi la demilitarizzazione dell’Ucraina e il riconoscimento dell’indipendenza del Donbass e della Crimea. Mosca ha deciso di attaccare anche in condizioni sfavorevoli e rinunciando al vantaggio della sorpresa, quando ha capito che con la Nato era impossibile dialogare (proposta di accordo del dicembre 2021); e perché temeva una possibile offensiva di Kiev diretta alla riconquista del Donbass e della Crimea (obiettivi che Zelensky non ha mai nascosto). Infine, sulla decisione di invadere l’Ucraina ha prevalso il timore di Putin di passare alla storia come il Presidente che perse l’Ucraina. Putin vuole passare alla storia come il Presidente che riportò la Russia al ruolo di potenza internazionale e ne difese i confini minacciati dall’allargamento a est della Nato. Putin incarna un sentimento diffuso tra la popolazione russa, lo spirito della Russia patriottica e imperiale, prima zarista e poi sovietica; quella che si inginocchia difronte alle icone e si sacrifica sulle macerie di Stalingrado. Io mi inchino difronte a questa Russia, al suo sacrificio e al suo valore. L’Occidente dei gay pride, dell’apericena e dello sballo non può capirlo. L’Occidente combatte solo guerre camuffate da crociate umanitarie; dove a morire e a soffrire sono soprattutto gli “altri”, i curdi e i siriani contro il Califfato, gli ucraini contro la Russia.
I sondaggi dell’istituto di statistica indipendente Levada Tsentr indicano che l’83% dei russi appoggia Putin e l’invasione dell’Ucraina. Il popolo russo si stringe intorno allo Zar e nel Paese regna la sindrome della “fortezza assediata”. Queste sono le conseguenze delle sanzioni inflitte a Mosca e delle armi inviate a Kiev; del malcelato disprezzo intriso di razzismo, che l’Occidente progressista ha per la Russia conservatrice e patriottica. L’Occidente vorrebbe i Gay Pride sulla Piazza Rossa, con il loro osceno e patetico repertorio; vorrebbe trasformare la Russia in una colonia, un serbatoio di manodopera e di risorse a basso costo per le aziende occidentali, un paradiso per mafiosi, oligarchi e per la finanza internazionale. Questa era la Russia che Putin ereditò dopo il crollo dell’Unione Sovietica. Un Paese che Putin ricostruì e riportò al ruolo di potenza internazionale; una nazione che sfida l’egemonia americana e interviene nelle crisi internazionali: Siria, Libia e Paesi dell’ex Unione Sovietica. Per questo la Russia deve perire.
Mosca ha invaso l’Ucraina sperando di condurre una “operazione speciale” rapida e poco dispendiosa, simile a quella condotta in Crimea (2014) e in Georgia (2008). La conquista dell’Ucraina non è mai stata nei piani di Mosca, perché considerata troppo costosa sia in termini economici sia militari. La Russia ha invaso l’Ucraina per impedirne la futura adesione alla Nato (“smilitarizzazione” dell’Ucraina); per difendere la popolazione russofona del Donbass dagli attacchi di Kiev (denazificazione dell’Ucraina) e per conquistare la Novorossija (Nuova Russia) la parte russofona dell’Ucraina, che Mosca considera propria. Un territorio che si estende dal Donbass alla Transnistria. Un piano che prevedeva l’eliminazione Zelensky e del suo governo filooccidentale per sostituirlo con uno di filorusso. Il piano di Mosca è parzialmente fallito: “l’operazione speciale” si è trasformata in un conflitto sanguinoso e l’esercito russo ha conquistato solo una parte del territorio ambito; le sanzioni economiche inflitte dall’Occidente avranno pesanti conseguenze sul Paese, il “quanto” e il “come” lo vedremo in futuro. Inoltre, il presidente ucraino è ancora al potere e ha il sostegno dell’Occidente.
Le cause del parziale insuccesso russo sono molteplici: la resistenza del popolo ucraino che Mosca non aveva previsto, un popolo coraggioso che difende la propria terra; il sostegno militare della Nato all’Ucraina, al primo posto ci sono gli Stati Uniti e la Gran Bretagna, seguiti dai Paesi dell’Unione Europea, con Polonia e Paesi Baltici in testa. Infine gli errori e i limiti dell’offensiva russa: l’invasione iniziata in condizioni climatiche sfavorevoli, il disgelo e la pioggia ostacolano le manovre dei mezzi corazzati; la mancanza del fattore sorpresa, dal dicembre del 2021 le truppe russe erano schierate sul confine ucraino, ma l’invasione è iniziata il 24 febbraio del 2022; la scadente logistica, con truppe rimaste a corto di viveri, carburante e munizioni; le troppe direzioni di attacco, sette e solo tre convergenti; il numero insufficiente di uomini e di mezzi che non ha garantito all’attaccante la superiorità militare necessaria al successo dell’invasione, la Russia ha messo in campo 150 – 200 mila uomini e 880 – 1144 mezzi corazzati, per sconfiggere un esercito composto di 250 mila uomini e 850 mezzi corazzati; le dimensioni del territorio dell’Ucraina, superiori a quello della Crimea che Mosca occupò nel 2014.
La Nato ha fornito e continua a rifornire all’Ucraina enormi quantitativi di armi: missili anticarro, antiaerei e antinave, lanciarazzi controcarro, droni. Grazie a queste armi è stato affondato l’incrociatore Moskva nave ammiraglia della marina russa nel Mar Nero; a perdita della Moskva ha inflitto un duro colpo all’immagine di potenza della Russia e reso più difficile la conquista di Odessa. La conquista di Odessa toglierebbe all’Ucraina ogni sbocco al Mare e permetterebbe alla Russia di congiungere il Donbass alla Transnistria.
La cooperazione tra la Nato e l’Ucraina inizia con l’adesione di Kiev al North Atlantic Cooperation Council (1991) seguito dal Partnership for Peace (1994) e dalla creazione della Commissione Nato-Ucraina (1997). Nel 2014 la Russia occupa e annette la Crimea e la cooperazione tra la Nato e l’Ucraina s’intensifica. Dal 2014 al maggio del 2022, al primo posto come forniture militari ci sono gli Stati Uniti con 4 miliardi di dollari, seguiti dalla Polonia con 1,4, la Germania con 1,3, il Regno Unito con 770 milioni, il Canada con 697 e Lettonia ed Estonia con 220. L’Italia è all’ottavo posto con 150 milioni di dollari.
Non solo armi e munizioni ma anche intelligence. Le informazioni che la Nato ha fornito a Kiev sono state decisive: per la distruzione di posti di comando mobili (dall’inizio del conflitto dodici generali russi sono caduti) segnalare il movimento delle truppe russe, ecc. Questo autorizzerebbe Mosca ad abbattere droni o aerei della NATO sui cieli ucraini, provocando una pericolosa escalation.
Per l’Europa armare Kiev è stata una scelta inopportuna: ininfluente sull’esito del conflitto, autolesionista e pericolosa per la sicurezza internazionale.
Ininfluente sull’esito del conflitto. Kiev da sola non può sconfiggere l’invasore russo, per farlo avrebbe bisogno dell’intervento diretto della Nato con il rischio concreto di un conflitto nucleare. Le forniture militari della Nato potranno solo prolungarne l’agonia dell’Ucraina: aumentando il numero di vittime tra i belligeranti (civili compresi); e devastando una nazione già povera che sopravvive grazie alle rimesse degli emigranti. Secondo l’Onu dopo un anno di guerra nove ucraini su dieci cadranno sotto la soglia di povertà; dall’inizio del conflitto metà delle aziende commerciali hanno chiuso e l’altra metà lotta per sopravvivere.
Autolesionista. Ora siamo in guerra con Mosca e quindi non possiamo essere i mediatori del conflitto; ma diventiamo il bersaglio di possibili ritorsioni economiche, di attacchi informatici, di artificiose migrazioni di massa da Paesi dell’Africa Settentrionale sotto influenza russa (la Libia); e di possibili rappresaglie militari, se il conflitto dovesse superare i confini ucraini. Gli unici mediatori autorevoli del conflitto sono la Turchia e la Cina. Potenze antagoniste della Russia che nella crisi ucraina hanno mantenuto una posizione neutrale. Turchia e Cina aumenteranno la loro influenza se la rivale Russia uscirà isolata e indebolita da questo conflitto. Combattiamo la “dittatura” russa per rendere più potenti quella cinese e turca.
Pericolosa per la sicurezza internazionale. La Nato non ha il controllo del materiale militare inviato in Ucraina (missili e lanciarazzi controcarro, missili antiaerei, esplosivi, fucili d’assalto, granate, ecc.) esiste il pericolo che finisca nelle mani di organizzazioni criminali o terroristiche e di forze ostili all’Occidente, come già avvenuto con i jihadisti in Siria e in Iraq, o con i talebani in Afghanistan. Infatti, l’Ucraina è una nazione con un elevato tasso di corruzione negli apparati pubblici e la mafia ucraina è diffusa nel Caucaso e in Medio Oriente; inoltre, i jihadisti ceceni combattono a fianco di Kiev.
A causa del conflitto ucraino l’Italia ha deciso di portare entro il 2028 la spesa militare al 2% del PIL, da 25,8 miliardi di euro all’anno a circa 38 miliardi all’anno. Miliardi di euro sottratti alle famiglie e alle imprese già colpite dalle conseguenze della pandemia e dal carovita. L’aumento delle spese militari avrebbe senso se servisse a difendere gli interessi nazionali. Il nostro intervento militare al fianco di Kiev e le sanzioni contro Mosca, non hanno colpito un Paese che minacciava la nostra sicurezza e nemmeno i nostri interessi economici. Eppure, nel 2014, fummo restii a fornire le armi anticarro ai curdi che combattevano lo Stato Islamico, l’ex ministro della Difesa Artuto Parisi (PD) temeva che l’Italia diventasse un Paese belligerante; eppure, era in gioco la nostra sicurezza minacciata dalla canaglia islamista. L’Italia è intervenuta militarmente al fianco dell’Ucraina per compiacere gli Stati Uniti e ai nostri alleati europei, convinta di ottenere maggiore autorevolezza in vista di chissà quali benefici futuri. In realtà dalla nostra partecipazione alle missioni internazionali (Afghanistan, Iraq e Libia) non abbiamo ottenuto benefici concreti ma solo formali ringraziamenti a fronte di perdite umane, elevati costi economici e nefaste conseguenze politiche (vedi la Libia). Ne valeva la pena?
Nel conflitto russo – ucraino non si parla di pace e nemmeno di tregua. I belligeranti continuano a combattere perché sperano di ottenere dei risultati dal proseguimento delle ostilità. Mosca vuole sottrarre all’Ucraina la parte russofona per ottenere una parziale vittoria che la ripaghi dai costi e dalle pesanti conseguenze del conflitto; Kiev spera di riconquistare parte del territorio perduto, grazie al sostegno politico e militare dell’Occidente. I Paesi dell’Unione Europea svolgono un ruolo marginale subiscono la guerra voluta da Washington, incapaci di elaborare una politica comune. Gli Stati Uniti approfittano della passività dell’Europa e fanno leva sulla russofobia dei baltici e dei polacchi che considerano la Russia, una minaccia esistenziale. Il presidente americano Joe Biden ha firmato l’Ukraine Democracy Defense Lend Lease Act of 2022, una norma che velocizza e facilita la fornitura di armi all’Ucraina; una procedura simile a quella che nel 1941 adottò il presidente Franklin Delano Roosevelt, per sostenere la Gran Bretagna attaccata dalla Germania nazista. L’entità dell’impegno americano non ha lo scopo di contenere la Russia; ma di annientarla, come fu per la Germania nazista. Per nostra fortuna la Russia non è la Germania nazista e nemmeno l’Unione Sovietica. Il totalitarismo nazista e comunista sono morti e non possono risorgere.
Il conflitto ucraino è una guerra per procura tra gli Stati Uniti e la Russia e l’Ucraina è il campo di battaglia. Gli Stati Uniti non combattono per difendere la libertà e la democrazia come sostengono i media occidentali; ma per difendere i loro interessi, la loro posizione di potenza egemone. Gli Stati Uniti non temono le conseguenze del conflitto russo ucraino perché è una guerra che si combatte in Europa e favorisce la loro economia. A morire e a pagare i costi di questo conflitto sono gli europei, principalmente russi e ucraini. Le sanzioni imposte a Mosca e le relative conseguenze non penalizzino solo l’economia russa ma anche quella delle principali economie europee (Francia, Germania e Italia) che insieme a quella cinese sono le principali concorrenti dell’economia americana. Questo conflitto favorisce soprattutto le industrie americane del settore armiero (come la Lockheed-Martin produttrice dei missili anticarro Javelin) che i propri profitti grazie alle commesse del Pentagono che ha esaurito le scorte di materiale militare per rifornire l’Ucraina. Il complesso militare – industriale americano prospera sulla pelle degli europei. Gli Stati Uniti non sono un nostro alleato, ma uno spietato concorrente nella giungla del mercato globale; una potenza egemone che non esiterà a sacrificare le nostre vite per difendere i propri interessi. Donald Trump, persona rozza ma sincera, lo dichiarò pubblicamente e fu lo slogan della sua politica estera: “America First”;. Il presidente Joe Biden non è diverso dal suo predecessore quando si tratta di difendere gli interessi americani e lo sta dimostrando con la crisi ucraina. Progressisti idioti credete ancora nel mito del presidente liberal portatore di pace, progresso e libertà?
Gli ucraini difendono la loro libertà e non la nostra; gli aggrediti sono loro e non noi. La Russia non ci ha attaccato e nemmeno vuole conquistare l’Europa. Mosca non ha forze sufficienti per occupare l’Ucraina, immaginate il resto del continente protetto e armato dalla Nato. La strategia russa è incentrata sulla difesa dei confini nazionali minacciati dall’allargamento a est della Nato; e sull’annessione delle aree strategiche a maggioranza russofona, come il Donbass e la Crimea.
Dovremmo chiederci quali sarebbero le conseguenze del collasso della Russia: il Paese verrebbe dilaniato da conflitti interetnici di stile balcanico; migliaia di testate nucleari sarebbero a disposizione del migliore offerente o di chi le sottrae (terroristi compresi); milioni d’immigrati entrerebbero in Europa per fuggire dalla miseria e dalla violenza provocati dal collasso del loro Paese; le organizzazioni criminali e terroristiche approfitterebbero dello stato d’anarchia per fare della Russia il proprio rifugio e minacciare la pace internazionale.
Le condizioni di una possibile tregua sono legate ai successi di Mosca sul campo di battaglia; successi che permetterebbero a Putin di giustificare al popolo russo e agli apparati che lo sostengono le pesanti conseguenze dell’invasione dell’Ucraina. Concretamente a quali obiettivi può aspirare Mosca per evitare che l’impresa ucraina si trasformi in una sconfitta? Direi essenzialmente due: la conquista del Donbass e il consolidamento del corridoio Donbass – Crimea. In queste aree russofone di elevato valore strategico ed economico si gioca l’esito del conflitto. Infatti, Mosca ha cambiato strategia concentra i suoi sforzi nella parte sudorientale dell’Ucraina, dove la logistica è assicurata e parte del territorio è in mano russa. La Russia all’inizio dell’invasione controllava circa il 40 per cento del Donbass, grazie alle Repubbliche secessioniste di Donetsk e di Lugansk, che Mosca ha riconosciuto il 21 febbraio del 2022. Ora le truppe di Mosca cercano di consolidare il controllo del corridoio terrestre che unisce il Donbass alla Crimea, questo presuppone la conquista dell’Oblast di Kerson e di Zaporizhzhia. In tale corridoio è situata Mariupol. La città è in mano russa, dopo la resa dei neonazisti del Battaglione Azov che si erano asserragliati nel complesso industriale di Azovstal, usando i civili (bambini compresi) come “scudi umani”.
Nel resto del Paese i missili russi continuano a colpire le postazioni ucraine, i depositi e i convogli di armi destinati a Kiev. Non credo che Mosca sia nelle condizioni di conquistare Odessa e di spingersi fino alla Transnistria. Sarebbe una decisione pericolosa, che esporrebbe Mosca a maggiori perdite a fronte improbabili successi militari. Per Mosca è meglio assediare e colpire Odessa per fini negoziali; preparare un’azione militare a sostegno della Transnistria. A tale scopo occupa l’isola dei Serpenti difronte a Odessa a 35 chilometri dalle coste di Ucraina e Romania.
Rimane da definire la neutralità di Kiev, una questione che va oltre le relazioni tra russo-ucraine, ma riguarda il ruolo della Nato in Europa e i rapporti con la Russia. La neutralità di Kiev è solo una parte dell’accordo che doveva regolare le relazioni tra la Nato e la Russia dopo la fine dell’Unione Sovietica (1991). Un accordo mai sottoscritto dalle parti e al quale Mosca ambisce da tempo.
Nel dicembre del 2021, la Russia ha reso pubblica una lista di richieste, contenuta in due bozze di accordo: uno multilaterale con la Nato, composto di nove punti; e uno bilaterale con Washington, composto di otto punti. Queste erano in sintesi le condizioni: la Nato doveva interrompere l’espansione verso i confini della Russia includendo le nazioni appartenenti all’ex Unione Sovietica; le Parti s’impegnavano a non dispiegare le armi nucleari al di fuori del territorio nazionale e di riportare in patria quelle già dispiegate al di fuori dei propri confini con l’entrata in vigore del trattato; le Parti s’impegnavano a non addestrare personale militare o civile di paesi privi di ordigni nucleari all’uso di tali armi. Le richieste russe non sono state accolte e nemmeno discusse dagli Stati Uniti e dalla Nato. Si è sprecata l’occasione di iniziare un dialogo con Mosca, che forse avrebbe evitato l’attuale conflitto, ma la pace non era nelle intenzioni di Washington e dei Paesi russofobi dell’Alleanza (Gran Bretagna, Polonia e Paesi Baltici). Gli Stati Uniti hanno vinto la guerra fredda ma non hanno saputo creare la pace includendo la Russia in un progetto di sicurezza e di cooperazione internazionale. Questo era lo spirito dell’incontro di Pratica di Mare (Roma) promosso dall’ex premier Silvio Berlusconi nel 2002.
La politica che l’Europa doveva adottare nel conflitto russo-ucraino era quella del dialogo e dell’accoglienza: mediare tra le parti in lotta al fine di ottenere una tregua; accogliere le migliaia di profughi che fuggono da una guerra che ci coinvolge direttamente. La pace si ottiene dialogando con Mosca e interrompendo la fornitura di armi a Kiev. L’Italia potrebbe prendere l’iniziativa, rompendo il fronte dei Paesi che armano Kiev; e innescando un possibile effetto domino che presto o tardi porterebbe a una tregua. L’Ucraina combatte perché la Nato la sostiene. Senza tale supporto si vedrebbe costretta a dialogare con Mosca. Kiev deve rendersi conto che la Crimea e il Donbass sono persi; come la Serbia perse il Kosovo, grazie al sostegno occidentale alla causa albanese.
La Russia invadendo l’Ucraina ha sfidato l’ordine internazionale imposto dall’Occidente dopo la caduta dell’Unione Sovietica. Con la fine dell’URSS erano gli Stati Uniti e dei loro alleati europei a muovere guerra per decidere gli equilibri internazionali. Con l’invasione dell’Ucraina la Russia ha deciso di infrangere questo privilegio e di riprendersi il ruolo di superpotenza che ha avuto nel passato. Vedremo se è stato un azzardo o una scelta vincente. Mosca andrà fino in fondo anche con il rischio di scatenare un escalation nucleare. Gli idioti non l’hanno capito e sfidano “l’orso”.
La Russia non è un Paese “isolato”. Hanno sanzionato Mosca solo gli Stati Uniti e la maggioranza dei Paesi dell’Unione Europea, con alcune nazioni marginali per l’economia russa: l’Australia, il Giappone, il Canada, la Svizzera e la Colombia. Tra le nazioni “neutrali” spiccano quelle dell’America Latina (Colombia esclusa) tutta l’Africa, la Cina e la Mongolia, l’India, Israele, la Turchia, il Pakistan, le nazioni del Mondo arabo e le ex repubbliche sovietiche. Sulle sanzioni a Mosca si crea una spaccatura tra l’Occidente e il resto del Mondo (i Paesi dell’Africa, dell’Asia e dell’America Latina). Stiamo parlando di una popolazione che supera i quattro miliardi di persone, oltre il 60% del pianeta.
Sta finendo il secolo dell’egemonia americana? Quale sarà il nuovo ordine mondiale?

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